giovedì 11 dicembre 2014

GIRO DI SANTA LUCIA di Armando Carruba (ricordo di un anziano siracusano)

   IL GIRO DI SANTA LUCIA
La  festa  di  Santa  Lucia  del  13  dicembre,  con un buon clima, ha sempre avuto le caratteristiche  di  una  scampagnata:  Nei  primi  anni  del secolo scorso la città era racchiusa nell’isola di Ortigia, salvo la zona umbertina.  Il  sepolcro  della  Santa era perciò  in  aperta  campagna e vi si accedeva per l’unica strada edificata ai due lati:
la via della Libertà,  oggi via Montegrappa. La visita al espolcro perciò comportava l’attraversamento di  vaste  zone  di  campagna,  per trazzere dissestate e a fondo naturale. Dalla porta d’Ortigia a via della Libertà  non  s’incontrava  una  sola casa abitata.  Il  porto  piccolo,  che  si  estendeva  sino a piazza Marconi costringeva la processione ad effettuare un giro lunghissimo.  Nello  spazio  antistante  la chiesa del Sepolcro si teneva, per otto giorni, una fiera che aveva carattere prettamente campagnolo. Si vendeva di tutto: attrezzi di lavoro, utenzili di cucina.
Stoffe merletti e persino animali. Certamente c’erano le leccornie come la calia, la giuggiulena, il torrone, “’u zuccaru”.
Non   mancava  “’u  friscalettu  di  crita  e di canna”. Il fatto poi che per arrivare al Sepolcro  si dovevano percorrere alcuni  chilometri  fece  nascere  nei   siracusani l’idea   di  chiamare  la Santa “a viannola”.  I  siracusani  festeggiano  sempre  allo stesso modo la loro Patrona, Santa Lucia,  figlia di Eutichia, nobile siracusana che abbracciò  la  fede  di  Cristo  e  per  avere  amato  i  poveri  e i diseredati fu fatta decapitare dal governatore romano Pascasio il 13 dicembre dell’anno 304.
Il  Clero  (Capitolo  Metropolitano)  segue  la processione solo fino a sopra i ponti, per  ricordare  che  lì  finiva  la  città.  Lungo il passaggio della processione i fedeli usavano, ed usano ancora, esporre, stesa sul balcone, la coperta matrimoniale più bella  e  più  costosa,  certamente  per  onorare  la Santa ma anche per fare bella mostra.   L’imponente  corteo  veniva  (e  viene)   preceduto  da  un  chierico che reggeva la Croce. Seguivano (ora non più) la Congregazioni con i gonfaloni, poi il clero in pompa magna; quindi il simulacro della Vergine sostenuto  con due aste
di  legno  dai  portatori.   Far  parte  dei  portatori  ha  sempre  rappresentato un grande privilegio, quasi un’investitura, tramandata da padre in  figlio. I portatori portano in testa un berretto di velluto verde bordato in oro.
Ai  lati del simulacro incedono i portatori di grandi torce; “i cannilori”. Indossano
una tunica verde con cingolo, ornati di rosso e un berretto di panno verde. Molte donne precedono il corteo scalze. Indossano una tunica verde bordata di rosso. Detto abbigliamento viene comunemente detto “’u votu”.
Il campanelliere, in redingote nera e guanti bianchi, prende il corteo e ne segna la marcia. Quando ordina una sosta per consentire ai fedeli di alzare i propri pargoli fino  a  toccare  la  “vara”,  il  capo dei portatori grida forte: “Sarausana è!” e tutti portatori e popolo, rispondono: “Viva Santa Lucia!”
Nel  dicembre  del  1944,  durante  l’occupazione  alleata, il maggiore inglese che comandava  la  piazza, concesse l’autorizzazione a formare il corteo, a patto però che  non  si  gridasse  la  frase  che, aveva saputo, fu il grido di rivolta dei moti del 1848. E  così   ogni  volta  che  il  campanelliere   arrestava  il  corteo,  i  siracusani mormoravano a bassa voce: Sarausana è! … viva S. Lucia.

Ma  quando  il  corteo  giunse  a  piazza  Pancali,  un giovane falegname salito sul muretto del tempio d’Apollo rispondendo all’invocazione dei portatori, gridò con tutto il fiato che aveva: “Quantu semu vigliacchi!”  e  dalla  folla  si  alzò  un grido potentissimo che fece sbiancare in viso gli inglesi: “Viva  Santa  Lucia!  Viva Santa Lucia! Viva Santa Lucia!” Ero bambino ma mi sentii fiero ed orgoglioso.        

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