sabato 21 gennaio 2017

GITA ALL'ETNA (da I RAGAZZI DEL MOLO S. ANTONIO di Armando Carruba)

                          LA GITA ALL’ETNA

Quannu lu friddu s’infila dintra l’ossa e da Scala Greca si po’ viriri dda bedda cartullina quali è Etna cca nivi, lu me’ pinzeru abbola quannu carusu assicutavu gite domenicali ‘nta dda’ muntagna.
La preparazione era un rito per noi ragazzini con le tasche eternamente vuote e impossibilitati all’acquisto del vestiario adatto nei vari negozi specializzati, pirchì comu dissi ‘u puddicinu ‘nta la nassa Unni maggiuri c’è minori cessa! Allora si ci doveva adattare o rinunciare a quel divertimento che costituiva l’incontro con il vulcano più alto d’Europa, un possibile approccio con la ragazza tanto sognata guardata a vista o comunque trascorrere una domenica bestiale.
Si comprava il tutto nelle bancarelle al mercato in Ortigia ca vinnevunu ‘a robba americana: un paio di calzoni appartenuti ad un marinaio statunitense che si facevano stringere di sotto a tubo e cucire nelle estremità degli elastici in modo da ben fissare il pantalone agli scarponi che erano quasi sempre quelli dei campagnoli.
Un bel paio di calzettoni di lana, corpetto della Marina Militare Italiana, un altro maglione pesante, guanti e cappello cco’ giummu sempre di lana.
Per completare l’opera, ossia per far notare agli altri che avevamo girato tutti i monti del mondo, si compravano nelle bancarelle i bolli di stoffa da cucire sui pantaloni o maglione o sullo zainetto ed erano del tipo: Monte Bianco – Cortina d’Ampezzo – Sestriere etc.
Nello zainetto il pranzo costituito da panini cca’ murtadella e acqua di fontana, con una bottiglietta di liquore ad alta gradazione perché…non si sa mai!
Andavamo a letto presto la sera antecedente la partenza, soprattutto perché l’appuntamento era fissato per le ore 4,00 ‘o puzzu ‘ngigneri, ma nessuno riusciva a prendere sonno cosicché ci radunavamo al piazzale Marconi ancora assonnati.
L’autobus cca funcia, uno dei residuati bellici, sbuffava nell’attesa come a borbottare rimproveri ai ritardatari; un ultimo appello e…ccu c’è c’è! E ccu nun c’è…(nun si po’ scriviri).   
Partenza con cori e canti qualcuno suonava la chitarra o la fisarmonica e tra Ciuri ciuri, Vitti na crozza, Sicilia e Quel mazzolin di fiori che viene dalla montagna, intervallato da qualche barzelletta che anche se spinta era stata rigorosamente ripulita, dopo aver macinato chilometri sulla vecchia strada Siracusa Catania si arrivava alla meta tanto agognata.
Sulla neve ci si spassava un mondo! Poi al ritorno la solita sosta in qualche localino per fare quattro salti; difatti la gita non era tale se non c’era questa pausa, e lì o si trovava il complessino sul posto oppure si ci arrangiava con il mitico jubox o male che andava un mangiadischi portato per ogni eventualità sfavorevole.
Il ritorno era ancora una volta sottolineato da canti e sguardi che cercavano conferme in altri sguardi; si effettuava una simpatica colletta per la mancia all’autista che con pazienza e mestiere aveva accontentato tutti; e a tarda sera l’arrivo ‘o puzzu ‘ngingnieri.
Gli ultimi saluti e a gruppi ridendo e sparlando a casa mentre la luna e le stelle, mute testimoni dei nostri sogni, in cielo a guardare.


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