VENDEMMIA D’ALTRI TEMPI
La sera avanti il giorno della vendemmia, nel cortile del podere sciamava la ciurma di picciotti, donne e ragazzi, circa duecento persone. L’uomo di casa faceva l’appello…
Per quasi una settimana il vigneto si popolava, s’animava, si vestiva a colori, fremeva di sudore, di caldo, di canti, di balli, di grida.
Dallo spuntare del giorno al tramonto, più di 200 coltelli tagliavano e 400 mani colmavano le ceste di grappoli.
Le ragazze in attesa dell’ordine di “alzata” sedevano sotto le viti, il mento sulle ginocchia cinte dalle braccia nude dove nuotava il sole, gli occhi neri brucianti di desideri immaturi o insoddisfatti.
Un fischio del capo: i cercini coronavano la testa delle donne, quattrocento braccia sollevavano le cesti pesanti e le adagiavano sopra con sicurezza gentile e civettuola.
In fila per il viale, mani sui fianchi si snodava il nastro umano, dai mille colori delle vesti, dei fazzoletti, delle camicette, al suono dell’organetto accompagnate i canti della vendemmia, che sulla bocca dei siciliani si trasformavano in nenie arabe.
Poi la sfilata davanti il pigiatoio, caste di grappoli, tra il martellare cadenzato dei pigiatori a passo di marcia, gambe nude chiazzate dai succhi e il canto liquido del mosto nei ricevitori, contrappunto alle canzoni alla bella che s’era andata o aspettava filando sulla soglia di casa.
A scuola i figli dei contadini venivano dopo le vendemmie e i debiti dei proletari si saldavano dopo i Morti quando i proventi delle fatiche ottobrine consolavano le tasche verdi dei contadini.
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