sabato 18 luglio 2015

U VENI VENI dai Ragazzi del Molo S Antonio di Armando Carruba

U BAGNU ‘O MOLU
Veni veni…Arturu! E ‘u picciriddu chiamato, si tuffava do’ pileri in quel mare azzurro del porto, scandendo a sua volta il nome di un altro compagno di giochi e così via.
Questo era l’innocente gioco do’ veni veni, niente di particolare sino a quando un ragazzino dimenticava chiamare al tuffo l’amichetto, allora come penitenza riceveva da tutti i partecipanti ‘n abbudduni cché manu e cché peri; cioè a dire ogni compagno di giochi mediante una spinta con le mani sulle spalle del penitente di turno lo mandava sott’acqua e lo spingeva più sotto possibile con i piedi; considerando che quasi sempre prendevano parte al gioco una ventina di ragazzini, ci vuole poco ad immaginare come si doveva sentire al termine di questa penitenza l’abbuddatu di turno.
C’erano i burloni, ne ricordo uno in particolare soprannominato Cicidda che quando notava nuovi partecipanti al gioco, sbagliava apposta e all’abbbudduni del nuovo venuto scompariva sott’acqua per poi andarsi a nascondere dietro una barca.
Comprensibile lo stato d’animo di chi aveva dato l’abbudduni, anche perché gli altri, complici della burla, rincaravano la dose facendo spaventare il più possibile il nuovo partecipante che ansioso fissava lo specchio d’acqua.
Dopo cinque minuti, nuotando sott’acqua, riemergeva Cicidda tra le risate generali e c’era chi credeva che quel ragazzino avesse tanto fiato da poter rimanere sott’acqua ben dieci minuti.
Cicidda passava le sue giornate estive a mare, definirlo un Colapesce anni cinquanta non sarebbe per niente errato, per la sua predisposizione a stare sott’acqua, ad allenarsi a toccare fondali sempre più profondi o perfezionare i suoi tuffi do’ pileri a volo d’angelo.
Gli altri ragazzini prendevano i mazzuni, tipi di pesci lunghi 8 o 10 cm che prediligono i bassi fondali fangosi rintanandosi sotto grosse pietre, e che si nascondevano dentro i copertoni di biciclette che numerosi erano in quello specchio di mare di fronte al Lazzaretto; oppure con un pesciolino legato ad un fil di ferro tentavano di stanare i ranciu pilusi.

Si passavano così le giornate estive al molo S. Antonio, prima del tramonto si tornava a casa, non prima di essersi sciacquati  alla fontanella del porto, evitando in questo modo che una imprevedibile leccata da parte dei genitori sulle braccia, tradisse il bambino che andava a mare senza che nessuno a casa lo sapesse.

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