martedì 22 marzo 2016

LO PROCESSIAMO A GESU'? di Armando Carruba

A tutt'oggi in Sicilia, il sentimento religioso è alto e le celebrazioni sacre che si svolgono in tutta l'isola suscitano notevole interesse, anche se - rispetto al passato - sono cambiati gli usi, i costumi e la concezione stessa della vita.
A Caltanissetta la notte del giovedì santo si svolge la processione delle cosidette vare, composizioni che rappresentano momenti della passione e della morte del Signore.
Le vare sono offerte e portate dalle confraternite degli artigiani e commercianti della città; a prima vista si direbbe che lo svolgimento di questa manifestazione non sia cambiato nulla ma in realtà i mutamenti ci sono stati.
Le feste e le manifestazioni religiose di una volta erano spontanee, gente di ogni città e di ogni paese le faceva sue, oggi invece, e in questo è stato senza dubbio determinante l'influenza dei grandi mezzi di comunicazione e di massa, le ricorrenze e le solennizzazioni sono diventate in parte spettacolo, si fanno soprattutto per gli altri visitatori e turisti che corrono da ogni parte dell'isola e da fuori.
Una volta il popolo era protagonista, oggi invece come a teatro gli interpreti sono pochi e la grande massa è diventata spettatrice.
A S. Cataldo, paese non lontano da Caltanissetta, la mattina del venerdì santo, un'immagine di Gesù, molto bella, viene portata nel luogo più alto del paese dove la sera si rappresenterà il dramma della morte e della resurrezione. E' una cerimonia che ha conservato quasi integro il proprio carattere originario e popolare; a metà strada l'immagine di Gesù incontra quella della Madonna, si tratta di tradizioni escogitate dalla devozione e dalla fantasia popolare nel corso dei secoli.
Qui, per esempio, non si è tralasciata l'occasione per rappresentare una volta di più l'incontro della madre con il figlio, un tema molto caro alla gente del popolo. Il popolo una volta viveva in prima persona il dramma di Gesù, la madre che andava incontro al figlio era sì quella della tradizione cristiana, ma era anche la madre del povero zolfataro morto in una disgrazia in miniera, oppure quella di un emigrante scomparso lontano. Queste celebrazioni non erano perciò, come si è pensato per tanto tempo da parte di molti, semplici manifestazioni di fanatismo e superstizione popolare, ma piuttosto l'occasione tanto attesa per trasferire il proprio vissuto quotidiano nel dramma sacro e viceversa, servivano a dare sfogo all'angoscia e alla disperazione di una resistenza dura e insopportabile. Alla gente del popolo che non riusciva a fronteggiare le avversità della vita e le angherie dei potenti, non restava altro che ripetere ed esaltare il dramma di Gesù, simbolo di tutti i diseredati e gli oppressi della terra.
Una volta la figura che impersonava Gesù, contadino o minatore che fosse, veniva percosso e brutalizzato dalla folla che non era spettatrice ma protagonista attiva della manifestazione, i costumi e gli arredi erano poveri e semplici: Erode, Pilato e gli altri personaggi della rappresentazione erano interpretati dalla gente del popolo, il testo veniva declamato a gran voce, e anticamente, si dice, che era in dialetto stretto.
Oggi si celebra il cosidetto Processo a Gesù, ciò che colpisce è il fasto, i costumi sono raffinati e costosi fatti venire da Roma dalle grandi produzioni cinematografiche e televisive, non manca neanche la biga con splendidi cavalli e soldati romani, che anche in questo caso si tratta di figurazioni del cinema.
Lo spettacolo prevale, la folla non è più protagonista ma assiste passiva; l'effetto d'insieme è piuttosto freddo, non c'è traccia di partecipazione ingenua, a momenti rozza e violenta di una volta, le musiche sono moderne e i personaggi non sono più interpretati dalla gente del popolo ma da studenti, insegnanti e attori; non esistono problemi di declamazione perchè i testi sono stati registrati precedentemente e vengono trasmessi da potenti amplificatori, gli attori perciò non parlano ma si limitano a mimare la scena.

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