Siracusa piazza Archimede
CONIGLIARO
da CAROSELLO ARETUSEO di Otto Razzi
Giovanni ca chitarra degli anni trenta, Jhon singer per gli Inglesi che lo trovarono nel '43 a piazza Archimede a strimpellare le sue filastrocche estemporanee che spesso sapevano di sale.
Uomo e no di Ortigia annegava nel vino i suoi molti problemi di spicciola vita familiare e sociale. In un certo senso un emarginato antilitteram quando i Reggitori avevano creato, artificialmente, i buoni e i cattivi e Conigliaro, purtroppo, era relegato, fra i reprobi. Comunque cantava e non potevano impedirglielo. Stornelli al vento della sera presso il Mercato comunale o alla Marina nel meriggio infuocato a mille luciombre sugli Iblei: "chiamu Tiochitu... chiamu la musa... hàju 'na picciotta frisca e sapurusa..."
Canta che ti passa, diceva qualcuno per sfotterlo e lui di rimando "passami a tò soru!".
Era fatto così un tecnico dell'impasse che studiava cento espedienti per sopravvivere in apparente letizia enologica seppure dentro, certo, avesse il "fuego caliente".
Una sera di inverno, a Gennaio, mentre usciva alticcio da una cantina di via Resalibera, Conigliaro s'imbatté in un gruppo di bontemponi. Dice uno: "Cinigghiaru quantu vini hai messo in magazzinu?" e lui verseggiando, tra una chitarrata e l'altra: "Non bevo vino ma vermùttu, in verità ti dico che sei un farabuttu ... zazà!" e sbandando a sinistra svicolava a destra per via Dione ciondolando verso l'Apollonion.
La notte era già alta a Siracusa, le nubi fosche e basse, la città silente dormiva fondo, Conigliaro ancora no...
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