IL GIRO DI SANTA LUCIA
La festa di Santa Lucia del 13 dicembre, con un buon clima, ha sempre avuto le caratteristiche di una scampagnata: Nei primi anni del secolo scorso la città era racchiusa nell’isola di Ortigia, salvo la zona umbertina. Il sepolcro della Santa era perciò in aperta campagna e vi si accedeva per l’unica strada edificata ai due lati:
la via della Libertà, oggi via Montegrappa. La visita al espolcro perciò comportava l’attraversamento di vaste zone di campagna, per trazzere dissestate e a fondo naturale. Dalla porta d’Ortigia a via della Libertà non s’incontrava una sola casa abitata. Il porto piccolo, che si estendeva sino a piazza Marconi costringeva la processione ad effettuare un giro lunghissimo. Nello spazio antistante la chiesa del Sepolcro si teneva, per otto giorni, una fiera che aveva carattere prettamente campagnolo. Si vendeva di tutto: attrezzi di lavoro, utenzili di cucina.
Stoffe merletti e persino animali. Certamente c’erano le leccornie come la calia, la giuggiulena, il torrone, “’u zuccaru”.
Non mancava “’u friscalettu di crita e di canna”. Il fatto poi che per arrivare al Sepolcro si dovevano percorrere alcuni chilometri fece nascere nei siracusani l’idea di chiamare la Santa “a viannola”. I siracusani festeggiano sempre allo stesso modo la loro Patrona, Santa Lucia, figlia di Eutichia, nobile siracusana che abbracciò la fede di Cristo e per avere amato i poveri e i diseredati fu fatta decapitare dal governatore romano Pascasio il 13 dicembre dell’anno 304.
Il Clero (Capitolo Metropolitano) segue la processione solo fino a sopra i ponti, per ricordare che lì finiva la città. Lungo il passaggio della processione i fedeli usavano, ed usano ancora, esporre, stesa sul balcone, la coperta matrimoniale più bella e più costosa, certamente per onorare la Santa ma anche per fare bella mostra. L’imponente corteo veniva (e viene) preceduto da un chierico che reggeva la Croce. Seguivano (ora non più) la Congregazioni con i gonfaloni, poi il clero in pompa magna; quindi il simulacro della Vergine sostenuto con due aste
di legno dai portatori. Far parte dei portatori ha sempre rappresentato un grande privilegio, quasi un’investitura, tramandata da padre in figlio. I portatori portano in testa un berretto di velluto verde bordato in oro.
Ai lati del simulacro incedono i portatori di grandi torce; “i cannilori”. Indossano
una tunica verde con cingolo, ornati di rosso e un berretto di panno verde. Molte donne precedono il corteo scalze. Indossano una tunica verde bordata di rosso. Detto abbigliamento viene comunemente detto “’u votu”.
Il campanelliere, in redingote nera e guanti bianchi, prende il corteo e ne segna la marcia. Quando ordina una sosta per consentire ai fedeli di alzare i propri pargoli fino a toccare la “vara”, il capo dei portatori grida forte: “Sarausana è!” e tutti portatori e popolo, rispondono: “Viva Santa Lucia!”
Nel dicembre del 1944, durante l’occupazione alleata, il maggiore inglese che comandava la piazza, concesse l’autorizzazione a formare il corteo, a patto però che non si gridasse la frase che, aveva saputo, fu il grido di rivolta dei moti del 1848. E così ogni volta che il campanelliere arrestava il corteo, i siracusani mormoravano a bassa voce: Sarausana è! … viva S. Lucia.
Ma quando il corteo giunse a piazza Pancali, un giovane falegname salito sul muretto del tempio d’Apollo rispondendo all’invocazione dei portatori, gridò con tutto il fiato che aveva: “Quantu semu vigliacchi!” e dalla folla si alzò un grido potentissimo che fece sbiancare in viso gli inglesi: “Viva Santa Lucia! Viva Santa Lucia! Viva Santa Lucia!” Ero bambino ma mi sentii fiero ed orgoglioso.
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