venerdì 22 gennaio 2016

DIALETTO di Armando Carruba

IL DIALETTO
Carissimi amici,
Da ragazzino, a casa mia si parlava l'italiano, poi scendevo in strada a giocare ed ero sfottuto per il mio parlare.
Così pian pianino ho imparato il dialetto siciliano, l'ho imparato male perchè i ragazzini (vivevo al Molo S. Antonio e giocavo con i miei coetanei delle Carcare)
imitavano nel parlare i "cuatti" (specie di malandrini di bassa portata) che nel parlare si strazzavano 'a vuci.
Percorrendo la Sicilia da Sud a Nord ed da Est a Ovest ci accorgiamo che il dialetto cambia in ogni provincia, in ogni comune, in ogni frazione e in città in ogni quartiere, a volte impercettibilmente a volte drasticamente.
IL DIALETTO E' UNA LINGUA PREVALENTEMENTE PARLATA.
Infatti il dialetto lo si impara in famiglia, nella stretta cerchia di parenti e conoscenti. Le parole, i suoni, le inflessioni, sono quelle della famiglia o della stretta cerchia, infatti non c'è una scuola per imparare il dialetto.
Dopo l'unità d'Italia, c'era bisogno di una lingua nazionale, una lingua scritta e parlata da tutti. Sarà l'italiano a dover essere la lingua ufficiale: una lingua colta, usata esclusivamente in letteratura, studiata a tavolino su un modello di dialetto toscano elaborato dai manzoniani. Il nuovo Stato anzichè incoraggiare e perseguire il bilinguismo, una ricchezza immensa, dichiara guerra ai dialetti.
Chi è che parla e scrive la nuova lingua? Fin da subito i pochi nobili e letterati e i colti borghesi. Tutti gli altri - compreso Vittorio Emanuele che parla piemontese e francese, parlano il loro dialetto.
Chi può manda i figli a scuola ad imparare l'italiano. L'operaio e il contadino, in situazione di disagio sociale, continuano a parlare il dialetto e trametterlo alle nuove generazioni.
Abbandonato dalle classi dominanti, il dialetto perde terreno nei confronti dell'italiano e già all'inizio del '900 chi lo parla come unica lingua conosciuta è connotato come persona di basso ceto, povera e ignorante.
Il colpo di grazia lo dà il ventennio fascista con il disprezzo che le autorità governative nutrono nei confronti del dialetto; portano a vietarne e sanzionarne qualunque uso nelle scuole.
Nel secondo dopoguerra si prosegue con immutata determinazione all'emarginazione del dialetto.
La scuola continua la sua opera demolitrice: chi non ricorda, nei temi, le righe di matita blu con la scritta "espressione dialettale"?
Il dialetto abbandonato da tempo dalla classe dirigente, viene abbandonato anche dalla classe media e dal popolino che vede nell'istruzione un mezzo per emanciparsi. In famiglia lo si parla sempre di meno e i giovani vengono scoraggiati a parlarlo. I nonni sono i primi a vietarne l'uso e a parlare ai loro nipoti in italiano, quasi sempre in modo povero e inadeguato.
L'interesse per il dialetto, dove esiste, è confinato a pochi studiosi, , che già sensibili alla perdita della lingua, cominciano a catalogarla, raccogliendo le variazioni locali, le forme lessicali e sintattiche.
Opera meritoria per biblioteche, ma quasi nulla dal punto di vista dell'emancipazione della lingua perchè non è più lo stesso dialetto del contadino, dell'operaio del pescatore...
Il dialetto non parla più di se stesso in dialetto, nei vari convegni e nelle serate all'insegna del dialetto ... si parla un'altra lingua: l'italiano.

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