venerdì 16 dicembre 2011

GIOCHI DI UNA VOLTA

(il mio villino)
IL FAZZOLETTO
I ragazzini che giocavano al fazzoletto, formavano due squadre e si disponevano uno di fronte all'altro a distanza. Una squadra poteva essere formata da cinque, sei o sette ragazzini ed ognuno aveva un numero. Al centro delle due squadra stava un altro ragazzino che fungeva da arbitro.
Quest'ultimo chiamava un numero e i ragazzini appartenenti alle due squadre che avevano questo numero, correndo dovevano andare a prendere il fazzoletto per portarselo nella propria postazione.
Chi dunque prendeva il fazzoletto doveva correre con lo stesso al suo posto, e l'altra ragazzino se riusciva a toccarlo prima che l'avversario tornasse al posto vinceva, viceversa vinceva chi aveva preso il fazzoletto.
In questo gioco i ragazzini amavano a fare "'a finta" cioè facevano capire, fintando, all'avversario di prendere il fazzoletto, ma in realtà non lo toccavano, l'avversario convinto del contrario correva per prenderlo attraversando una linea che non si poteva attraversare se il fazzoletto era ancora in mano all'arbitro.
Ad ogni chiamata veniva assegnato un punto; vinceva la squadra che ne faceva di più.
Un gioco semplice e facile di tanti e tanti anni fa.

MESTIERI DI UNA VOLTA




IL BOTTAIO

Il mestiere del bottaio era considerato una vera e propria arte. Questi artigiani lavoravano all'aperto, di solito fuori dalla loro bottega, costruivano o riparavano le botti e ne curavano la manutenzione.
Le doghe di cui era composta la botte venivano tagliate personalmente dai bottai, curvate a fuoco, disposte entro cerchi di metallo - in orgine anche questi di legno - che ne assicuravano la forma panciuta e serrate tra loro.
Seguiva la costruzione dei coperchi e della cannella, il rubinetto per spillare il vino.
Con l'avvento delle botti in acciaio, molti bottai cercarono di reinventarsi il lavoro, costruendo non più botti ma oggetti d'arredo.
Ai giorni nostri sono quasi del tutto scomparsi.




giovedì 15 dicembre 2011

ACEDDU DDA' BONA NOVA

Buongiorno! stamattina appena alzato in casa è entrata una farfalletta, che in dialetto è chiamata aceddu bona nova.
La farfalletta la si lascia stare e non si caccia via, perchè - si dice - porta fortuna, ma se invece fosse entrato un lapone o un moscone, o qualche altro insetto grosso di colore nero, subito lo si caccia fuori, perchè porta sfortuna e quando non si riesce perchè vola in alto, gli antichi dicevano: ssu siti bonu stati, ssu siti tintu voitavinni !
Con queste parole si voleva annullare il male che l'insetto portava. E' vero? è falso? boh??? superstizione popolare siciliana.

PROVERBIO DEL GIORNO E MODI DI DIRE

PROVERBIO DEL GIORNO
A tavula e a lettu, si canusci 'a pirsuna di rispettu
A tavola e a letto si conosce la persona di rispetto


MODI DI DIRE


Spàrati 'nto immu e va mori ballannu


(come per dire: vai al diavolo!)


O' jornu nun nni vogghiu e 'a notti sparda l'ogghiu


(si dice di chi non fa le cose quando è opportuno farle e vuole agire nei momenti meno opportuni)



'U BABBALUCIARU

(IL VENDITORE DI LUMACHE)

Una giacca sbottonata, logora e scarponi sporchi di terra, un sacco a tracolla e un paniere in mano 'u babbaluciaru arrivara a Siracusa dalla campagna dove, con molta pazienza, aveva raccolto le lumache.

In autunno e in inverno, dopo abbondanti piogge, i crastuna (lumache dal gusci scuro e grosse) svegliatisi dal lungo letargo, uscivano, come ancora avviene dal sottosuolo e, ignorando il grave pericolo, concludevano la loro breve passeggiata mattutina nel capiente sacco del babbaluciaru, che contento veniva a Siracusa, dove percorrendo 'i straduzzi così bandezzava: Haju crastuna niuri! Accattativi 'i crastuna! (ho le lumache nere! comprate le lumache!).

In estate invece, il nostro uomo, raccoglieva le lumache piccole e con il guscio bianco, che innumerevoli e a grappoli si trovavano incollate sugli steli rinsecchiti di molte piante erbacee, arse dal cocente sole, che tra luglio e agosto trasformava i verdi prati siciliani in aridi deserti.

La differenza dei crastuna che erano destinati ad essere cotti nel sugo, le lumachine bianche venivano bollite con aglio e prezzemolo e vendute in occasione di feste, di spettacoli all'aperto, di fiere etc

MODI DI DIRE IN DIALETTO



Sì tuttu vucca comu l'ammiru

Sei tutto bocca come i gamberi. Si dice di chi parla parla e non conclude mai.


Sì comu 'u ciciru crivu crivu

Generalmente si dice ai bambini che si muovono sempre


'U cani 'i donna Ramunna trunza nun ni voli iddu e nun voli ca si nni mancinu l'autri.

Per chi non vuole le cose e non vuole che l'abbiano gli altri.

'A FEDI

La vera, cioè l'anello nuziale che viene messo al dito durante il rito del matrimonio, è qualcosa di più di un anello.
Se questo anello si dovesse perdere e non si riuscirebbe più a trovare, si pensa subito ad un malaugurio.

A BOLLUVATA (la buona levata)

Quando due innamorati fuggivano o due fidanzati si sposavano, gli amici, che conoscevano il luogo dove gli sposi avevano trascorso la prima notte d'amore, andavano di mattina presto per svegliarli portandogli la colazione: uova, dolci, caffè, marsala...
Ciò era chiamata bolluvata (la buona levata).

MODI DI DIRE IN DIALETTO

Varca torta, viàggiu drittu: si dice di qualcosa che prima sembrava mal messa e poi si dispone bene.
'A varca nun vara senza sivu -
per varare ci vuole il sego (alludendo alla bustarella in qualsiasi iniziativa d'attuare.
Cucuzzi 'i mari - "zucchine di mare!" per esprimere cosa impossibile.

IL MERCATO




Il mercato d'Ortigia, a Siracusa, con i suoi riti, con i suoi rumori, con i suoi colori. Alle cinque di mattina si sveglia con l'allestimento delle cento e più bancarelle che fanno da ala al tempio d'Apollo coprendo quasi per intero via De Benedictis, il cuore del commercio. Vi si trova di tutto in abbondanza, dalla frutta alla verdura a poco prezzo, salumi e formaggi in bella mostra, saraghi, pesce spada, tunnina, il tutto per tenere alta la tradizione della cucina siracusana.

Il bandezzare dei venditori che a ritmi quasi cadenzati, invitano i passanti a fare l'acquisto conveniente.

C'è pure chi si è ritagliato un angolo fra le bancarelle più ricche e stuzzicanti; per lui basta una cassetta di leno e un basamento per portarla alla vista di tutti.

Il nostro personaggio vende i vavaluci (le lumache) come si dice in dialetto.

Sino a trent'anni fa era aperto anche il mercato comunale ottocentersco. L'edificio esternamente si presenta in buone condizioni e anche all'interno dopo le ristrutturazioni. Negli anni '50 sotto i portici si aprivano tante botteghe di macellai, pescivendoli, alimentari, frutta e verdura, pollivendoli; e al centro del cortile la zampillante fontanina a quadrifoglio, con i pesciolini rossi.

Al mattino i siracusani s'affrettano a fare la spesa, non più con l'ingombrante sporta appesa al manubrio della bicicletta, sparite anch'esse, ma con i comodi e pratici sacchetti di plastica.

Così si continua ad acquistare al mercato all'insegna del risparmio e della migliore qualità, e si continua a chiamare 'ntrallazzu la normale spesa quotidiana che nulla ha più dei loschi traffici del dopoguerra.

Per i siracusani, il mercato, non è soltanto una questione di utilità, ma soprattutto tradizione, abitudine, costume.

Qualcosa che non cederà mai il passo allo spersonalizzato supermercato.

I DUE COMPARI

(in foto: Armando Carruba e Gaetano Monterosso)


- Certo che chi ha sperimentato il cassonetto della spazzatura cche' roti...


- aveva na testa! e doveva essere armanto di buone intenzioni.


- Ma cornuta della miseria compare, l'avete visto mai un cassonetto di chistu pulito e con il suo colore originale?


- Compare lordi, ingrasciati, fitusi!!! sempri chini chini di sacchi, sacchetti e sacchitelli, ca siccomu nun sunu chiusi boni...


- i surci ci fanu festa senza musica!


- Va bene compare ca lamentarisi è vizio


- e poi vogliamo denigrare il progresso?


- Non c'è cittadino che trascuri il dovere civico di servirsi del cassonetto


- del resto si capisce che il feto pubblico piaccia più del privato


- E mentre gli amministratori si interrogano


- i sindacalisti sbraitano


- i lavoratori esultano


- il cassonetto assurge alla sua gloria!


- diventa installazione arte contemporanea, pura e irresistibile


- ricettacolo di contenuti metaforici


- vivido esempio di morale pubblica


- che ci dice: chi siamo, da dove veniamo...


- e dove andiamo a finire!!!

venerdì 9 dicembre 2011

BELVEDERE SAN GIACOMO



Belvedere San Giacomo, meglio conosciuto come Facci dispirata! (faccia disperara) e qui c'è un errore di distorsione dialettale siciliana, infatti è "Affaccia e rispirati" cioè per coloro i quali soffrono di asma, enfisema polmonare, l'aria del mare fa bene e quindi è un bel affaccia e respirate a pieni polmoni piuttosto di facce disperate che non dicono nulla, in quano le donne dei pescatori, preoccupate dei mariti, compagni etc che uscivano nelle giornate no, andavano a guardare e aspettare 'o Talìu.


Belle foto pescate in internet sul mare del Belvedere San Giacomo...

giovedì 8 dicembre 2011

'A RUTTA 'I CIAULA

'A RUTTA 'I CIAULA

Correvamo contenti
per via Arsenale
ad incontrare il sole
'a rutta 'i ciaula.
Un tuffo
dallo scoglio a carrabbineri
un altro da quello a palumma
e il mare rideva contento
di noi ragazzini
ubriachi di vita.
Una sigaretta fumata in tre
accendeva sogni proibiti
in tasche eternamente vuote.
Il mare era tutto per noi
da giugno a settembre...
poi la scuola ad ottobre
le speranze dei nostri genitori
si frantumavano
nel mare che mordeva lo scoglio
'a carrabbineri.
Noi incoscienti
marinavamo la scuola
restando all'oscuro
'nte rutti 'i ciaula
della via Arsenale

Armando Carruba

'A RUTTA 'I CIAULA